Mi sono trasferito

Questo blog, con la selezione degli articoli pubblicati su l’Opinione, si è trasferito all’indirizzo: http://doracalva.blogspot.com. Ci vediamo di là?

Il lato b di Bruno Vespa

In edicola con l’Opinione.

Ecco che la tragedia abruzzese e italiana di questi giorni è l’occasione – infelice, beninteso; indesiderata, sfortunatissima – di vedere Bruno Vespa condurre Porta a Porta emozionato al naturale.
L’aquilano, attraverso le ultime puntate del suo show, dedicate al parere di Ignazio La Russa e Antonio Di Pietro sulla situazione abruzzese, dopo le scosse di terremoto dei giorni scorsi, sta dando una straordinaria prova di coscienza del suo potere e della possibile veicolazione emotiva di esso. E del potere che, invece, si può comunque sfruttare quando questa coscienza venga messa da parte.

Quello che di norma svolge Bruno è un lavoro complesso e difficilissimo. Si tratta, sostanzialmente, di essere impassibile di fronte al peggio (se proviene dall’ospite giusto, soprattutto quando questo appartiene alla classe politica, che sia di uno schieramento o di un altro), e sedare la spontaneità, che sia di pubblico che di ospite “tecnico”. Dove ospite tecnico significa soprattutto ospite competente o testimone di qualcosa, non soltanto non politico.
Questi sono gli strumenti del regno di Vespa, che ha un da fare considerevole per rendersi sempre mediaticamente sostenibile e, al tempo stesso, il meno noioso possible. Continua a leggere ‘Il lato b di Bruno Vespa’

Chi è veramente José Mourinho?

In edicola con l’Opinione.

Per nessun altro ospite di questa stagione Piero Chiambretti aveva diffuso tanta pubblicità preventiva, e tante attenzioni a posteriori. Tutta la puntata di mercoledì sera di Chiambretti Night è stata incentrata su uno e ad un solo “numero uno”: l’allenatore del Football Club Internazionale, Mourinho. Lo stesso José odiato dalla stampa che conta; lo stesso idolatrato dalla stampa che vorrebbe non contare, e trascorrere il suo tempo ad addormntarsi contando le questione di lana caprina; ma è costretta ad essere alla moda e a dedicare proprio a Mourinho un’intera pagina giornaliera.

Solo, è successo un fatto. La puntata di mercoledì è stata la più noiosa di tutte le puntate noiose di questo Chiambretti @Mediaset. José dos Santos Félix Mourinho ha saputo deludere non solo alcuni dei suoi fan più integralisti, che scrivano o no sul Foglio di Giuliano Ferrara, ma anche ciascuno dei numerosi milanisti che, di norma, guardano Italia Uno in seconda serata. I primi si attendevano battute salaci e dandismo portoghese come se piovesse, e hanno avuto una semplicissima giacchetta destrutturata e musi lunghi. I secondi si attendevano polemismo finalmente salottiero, e invece hanno trovato diplomazia da politico d’altri tempi e occhietti alle signore. Continua a leggere ‘Chi è veramente José Mourinho?’

Siamo tutti Serena van der Woodsen

In edicola con l’Opinione.

Ci sono serie televisive epocali, che raccontano attimi del nostro presente come e meglio di quanto sanno fare interi cicli ad affresco, nei confronti di epoche scomparse. C’è da dire che il nostro tempo scompare e riappare tanto rapidamente (e non sempre in nome di una progressione) che, a tratti, non possiamo sentirci neanche rappresentati dalla televisione. Ci viene incontro il web, ma non basta nemmeno il cosiddetto microblogging, che racconta selezioni di istanti, a restituirci con molto affanno un po’ di realtà, da consumare come una sigaretta che ci sappia lasciare il desiderio di volerne ancora.

Così, forse è più facile, ma più illusorio, che sia il cinema seriale, ad uso domestico, a spiegarci cosa siamo, mentre lo siamo: è imperfetto; inattuale, già nel momento in cui si consuma l’ultima mensa sul set, a riprese appena finite; ma la componente della durata introduce la possibilità di un tale evoluzionismo psicologico (che a volte è anche “biologico”: attori che invecchiano o crescono, fra le stagioni della serie e della vita), che le trame della finzione possono sembrare meno evanescenti del solito.

Gossip Girl, serie sugli adolescenti, ma fatta soprattutto per i loro fratelli maggiori, per almeno due stagioni è stata un capolavoro di televisione. Diciamo “almeno”, visto che possiamo solo sperare che anche la terza, confermata e attesa per il prossimo anno (negli USA), possa essere sullo stesso livello delle prime. Rifiutatevi di guardarla in italiano: meglio non sapere chi sia Serena van der Woodsen, o da chi e come presti servizio, per uno stage da sogno, la piccola Jenny Humphrey. Doppiata male e adattata peggio, la versione distribuita da Italia Uno non ha reso giustizia a quasi nessuno degli elementi di spicco dell’originale. Non c’è traccia della crudeltà in cerca d’amore di Chuck Buzz, che viene ridotto alla stregua di un cattivo qualunque. Uno di quei piccoli personaggi fastidiosi, di cui si attende con ansia la ciclica sconfitta, che riescono meglio in serie di ben più basso livello drammatico, come Orange County. Eppure, serie che giustamente i nostri adolesenti non possono che preferire alle complessità a loro occulte di Gossip Girl, e che hanno gridato alla delusione quando ne hanno viste le prime puntate, quest’inverno. Continua a leggere ‘Siamo tutti Serena van der Woodsen’

Victor, Victoria, Afef e Big Tony Di Pietro

victor victoria

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Di solito, i talk show condotti dalle signorine accattivanti e solidamente ciarliere come Victoria Cabello (passata a la7) tendono a mettere in mostra il lato più spontaneo e meno istituzionale dei loro ospiti, e quanto più i loro nomi sono altisonanti e i loro fisici maldestri, più quelli hanno piacere a lasciarsi andare nei vari toccamenti e sfregolamenti cui la ragazza li sottopone. “Victor Victoria” non fa eccezione. Quanto più si è un mostro sacro e più ci si piace dissacrati dalle mani e dalla lingua di questa ex-veejay, che ha il vizio della performance e del mash-up. Non ultimo, proprio Marco Travaglio si è reso responsabile di una parodia del video-clip di Centro di gravità permanente, che è andata in onda per qualche giorno come teaser della puntata di questa settimana, e poi è stata trasmessa in versione integrale sotto gli occhi di Antonio Di Pietro in studio. La leggenda dice che ne siano registi i Manetti Bros., quelli dell’Ispettore Coliandro e di Zora la Vampira.

Ma giusto di Di Pietro volevamo parlarvi. Popolarissimo leader politico, eccepisce doppiamente dalla tendenza di cui parlavamo sopra: non soltanto, di norma, è talmente spontaneo dal rasentare la sguaiatezza e dallo sfondare abbondantemente la grammaticatura. In più, al cospetto di Victoria si formalizza, affetta professionalità malriposta, irrigidisce le membra; in poche parole si caga sotto dalla vergogna. Continua a leggere ‘Victor, Victoria, Afef e Big Tony Di Pietro’

Chi lascia il Brignano vecchio per il nuovo

enrico brignano

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E’ stata interessante la puntata di “Palco e Retropalco” (Rai 2) dedicata Enrico Brignano, sia per la sua contestualizzazione nei momenti durissimi che la satira italiana sta vivendo in televisione, sia per quello che testimonia dell’evoluzione di un personaggio anomalo fra i suoi colleghi e rivali.

Brignano nacque come ragazzo prodigio tardivo del Maurizio Costanzo Show, con la parte del maldestro dialettale, specialmente con le donne, ma portando questa vecchia responsabilità ad un nuovo livello, puntando sul glottologico (grandissimo imitatore di accenti, con caratterizzazione anche psico-sociale della parlata) e sull’immediatezza fra ruolo nella gag e ruolo come ospite. Spesso era impossibile distinguere fra le due fasi della sua presenza, e non sappiamo ancora oggi se ciò rappresentò più uno sprone per la sua carriera televisiva o più un ostacolo per quella sentimentale. I più crudeli ritengono che la cosa abbia favorito e a tratti sfavorito entrambe nella stessa misura.

Il ragazzo prodigio tardivo del Maurizio Costanzo Show è un mestiere delicato, che richiede davvero una grande capacità. Ripetere per mesi lo stesso sketch (simulandone la freschezza) è una missione impervia, soprattutto se si viene presentati al pubblico da un uomo di un certo prestigio che vi indica come un nipotino durante un pranzo di Natale, invitandovi a mettervi in piedi su una sedia per recitare una poesia. Spesso, appunto, dialettale. E, questo, senza permettersi di essere ripetitivo, a meno che non vogliate finire come quei due comici che si assiepavano fra il pubblico del Parioli, uno grasso e scuro e uno alto e biondo di cui non tutti ricordano il nome, e nessuno l’utilità. Continua a leggere ‘Chi lascia il Brignano vecchio per il nuovo’

X-Factor e il divertentismo morganatico

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Dopo un paio di stagioni vere, X-Factor può assurgere a modello vincente del talent show italiano, e non soltanto per l’effettiva capacità, ormai assodata a più livelli, di poter proporre altrove il suo prodotto. Questo, anche se quell’altrove somiglia sempre di più a un’omogenea Skaiset (Sky più Rai più Mediaset), in cui gli opposti non solo toccano, ma si baciano con la lingua. Il vero motivo per cui è il talent show di riferimento nel nostro paese è un altro: X-Factor, molto più di Amici di Maria De Filippi, infinitamente più di un’anomalia del sistema come Ballando con le stelle, è il talent show che ha saputo meglio addomesticare il format internazionale da cui deriva. E con addomesticare intendiamo, innanzitutto, italianizzare – il giusto – dei modi che, altrove, troppo americanizzati, possono semplicemente sembrare asettici. Ma, soprattutto, spettacolarizzare le emozioni, e non solo dei concorrenti, vere o presunte vere che siano, ma anche quelle della giuria, elemento centrale ovunque American Idol, il talent show da cui deriva, anche se non ufficialmente, X-Factor, abbia attecchito.

E qui ci sentiamo di affermare che pochi altri giurati al mondo, nelle condizioni di Morgan dei Bluvertigo, abbiano saputo fare altrettanto in termini di simulazione e dissimulazione del suo ruolo, sapendo uscire a testa alta da ogni puntata del reality senza che la sua vecchia immagine di musicista intellettualistico, parolaio, dimestico con Asia Argento, possa essere minimamente intaccata. Anzi, la sua apertura al mondo dei soldi facili, accompagnata dalla giusta dose di disprezzo per quello che fa e per quello che si fa davanti a lui, lo rendono un piccolo grande eroe per chiunque abbia sempre desiderato trovarsi nelle sue condizioni, un tempo, ma aveva o troppi soldi per farlo disinteressatamente, o troppa poca materia grigia per farlo e basta. Continua a leggere ‘X-Factor e il divertentismo morganatico’

A Sanremo i prezzi sono tutti Iva inclusa

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Come tutti sanno, il vero evento culminante della prima serata di questa edizione del Festival di Sanremo è stato l’outing sessuomane di Iva Zanicchi.
Detto questo, si possono trascorrere intere mezz’ore a cercare momenti più rilevanti dal punto di vista estetico, e non ultimo quello in cui ci si è proposta l’idea che la valletta Alessia Piovan possa essere un’attrice dal cuore d’oro, o comunque una valletta illuminata. Il concetto stesso ci è suggerito più volte nel corso di questa sua performance, ma soprattutto nell’istante del suo errore col gobbo: quando, invece della sua parte da leggere, nel presentare un concorrente, le sue labbra da statua classica ridipinta enunciano chiaramente “Alessia, Paolo, Paul”. Nient’altro che i nomi dei personaggi di questa messa in scena, apparentemente grandiosa, ma in realtà tanto più piccola della sua stessa semplicità.

Tacciamo del duo Povia-Grillini che, sebbene non perfettamente in accordo sullo strumento da suonare e sui tempi d’esecuzione (l’uno, cantando dal palco e l’altro monologando dalla platea), ha dimostrato di possedere in grande misura il dono del relativismo, nonché di una certa, relativa signorilità espressiva (qui, però, ci spostiamo più nettamente nel campo d’azione del parlamentare omofobo-fobico). E in un Festival della canzone italiana in versi liberi, ma che ad ogni nuovo concorrente minaccia tanto di tornare a certe rime fin tropo baciate, non diciamo che possa rappresentare una ventata di freschezza, ma almeno un alito sapientemente deodorato. Continua a leggere ‘A Sanremo i prezzi sono tutti Iva inclusa’

Lilli o Gruber? Questo è il problema

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Fin dall’infanzia, Dietlinde Gruber fu benedetta da una consuetudine felicemente ossimorica. Fu subito sua la giustapposizione di un diminutivo infinitamente più dolce di quel nome di battesimo: Lilli – disneyano, languido, a tratti quasi tenero; ad un cognome che la voleva dire lunga, fin da subito, su una natura da donna in carriera che non sa e non vuole rinunciare alla cattiveria o all’antipatia neanche per un istante.
Cresciuta, Dietlinde seppe fare di quella dicotomia qualcosa di più di un semplice stile di vita: un manifesto politico, colmo di licenze poetiche.

Lasciamo da parte il primo periodo della sua carriera giornalistica, e la parentesi europarlamentare, e prendiamo ad esempio la sua sola resa in “Otto e mezzo”, su la7. Di puntata in puntata, sera dopo sera, è chiaro che è principalmente Gruber – e non Lilli – che parla, gesticola, si lascia truccare. E, tutto questo, nemmeno per sogno è un’operazione di reazione alla mollezza, seppure relativamente mascolina, del suo co-conduttore Federico Guiglia. Si tratta, più che altro, di pura e semplice crudeltà nei confronti della memoria che noi tutti dobbiamo serbare della compostezza di Ritanna Armeni, che tanto moderatamente aveva saputo tener testa a ciascuna delle provocazioni, sia fisiche che professionali, che Giuliano Ferrara le lanciava dal suo sediolone. Continua a leggere ‘Lilli o Gruber? Questo è il problema’

Forza ispettore Coliandro

Il fatto che la messa in onda dell’Ispettore Coliandro abbia avuto una storia travagliata non deve aver stupito troppo i fan dei Manetti Bros. Solo in queste settimane di febbraio, difatti, Rai Due sta trasmettendo gli episodi della seconda stagione di quest’eccellente serie poliziesca. Eppure, tutti erano stati finiti di girare nell’autunno 2007: tempi lunghi anche per un prodotto dalla qualità meno evidente, o magari per un kolossal in cerca di marketing. Chi ama e segue i lavori dei due fratelli Marco e Antonio Manetti, romani (autori, per dirla tutta, di qualcosa come “Zora la vampira”), si aspettava un trattamento del genere, soprattutto da parte di una certa critica istituzionale o immobilistica, come quella rappresentata dai baby decani di quel sottogenere del giornalismo umoristico-involontario, che si basa sull’imitazione del senso dell’umorismo di Aldo Grasso.

Tutti costoro stanno dando in coro contro la serie, muovendo accuse di cui una delle poche ripetibili è probabilmente: “furbetta”. Ma questo ce lo saremmo aspettato anche noi. Quando una serie televisiva nuova, fatta da giovani, piace molto ai giovani, è scomoda (e da giovani, qui, per comodità, siamo costretti ad escludere tutti quelli che effettivamente conoscono i nomi di più di due concorrenti di Amici di Maria De Filippi, anche senza saperli mettere in ordine di bravura nel canto). Continua a leggere ‘Forza ispettore Coliandro’


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